14 marzo 2011

_RIFLESSIONI

Quando la parola d´ordine è "togliere"
di Achille Bonito Oliva
• 13-Mar-11

Un processo creativo che punta a "levare" per liberare la materia e consentirle di mostrare la sua natura nascosta



Si può raggiungere la profondità con il massimo della superficie. Questo avvertimento nicciano ci permette di guardare senza scandalo al corto circuito, che non è rotta di collisione, tra Michelangelo e Matisse proposto dalla mostra di Brescia. Un appuntamento iconografico assolutamente sostenibile proprio a partire dall´idea neo-platonica del Buonarroti sul processo creativo. L´opera nel suo farsi richiede un procedimento "a togliere": un levare per liberare la materia e consentirle di mostrare la sua profonda natura nascosta. È un anelito verso l´essenziale e l´essenza, che spiega ancor meglio il concetto di furor che non è sprofondamento nella materia, ma al contrario elevazione ed emendamento dall´inevitabile peso gravitazionale della carne.
Matisse, nella sua pittura vaporizzata nello spazio e senza penombre, dominata dalla memoria di una luce mediterranea, rincorre anche lui, magari senza pensare a Platone o ai Neo-platonici, il raggiungimento di una forma che si costituisca come essenza della scultura e della pittura. Il percorso naturalmente ha altri tragitti rispetto a quelli del Rinascimento italiano, per la verità non tanto amato dal pittore francese, ma nello stesso tempo conquistato e incantato da un calco di Michelangelo, esattamente la Notte.
Inoltre anche la teoria del non-finito, che nasce dall´impossibilità dell´artista e dell´uomo di gareggiare con la creazione divina, può trovare una consonanza nella decorazione matissiana che spesso passa attraverso una volubile sinuosità del segno ed una voluta indefinizione cromatica. Senza arrivare ai Prigioni, che fanno di Michelangelo anche un profeta dell´Informale e della Neo-figurazione, è possibile misurare uno stato di ansietas identico ma di diversa temperatura con quella di Matisse. Ansietà che corrisponde a un tremore spirituale in Michelangelo e, invece, nel pittore francese, ad una condizione giocosa, erotica e disseminata. Una sorta di stato d´animo che non isola le diverse parti della visione, semmai le aggrega in una fertile continuità.
Eppure Matisse è profondamente colpito nella sua forte anoressia iconografica dalla volumetria bulimica di Michelangelo. E´ possibile rintracciare nella pittura stessa di Matisse la memoria della scultura michelangiolesca. Basti confrontare il Ratto d´Europa del 1929 con la postura dell´Aurora e della Notte delle Tombe medicee nella Sacrestia Nuova di San Lorenzo in Firenze per capire quanto il grande pittore francese ha guardato il Buonarroti.
Naturalmente ancor più facile è segnalare una consonanza tra i due modi di fare scultura. Si comprende come Michelangelo e Matisse cadano, nel senso buono, dentro la scultura, proprio per riuscire a darcene l´essenza. Un taglio in profondità per dare ordine e sistema alla materia. Michelangelo, turbolento spirito quasi protestante, Matisse libertino oscillante tra figurazione e decorazione, a distanza di secoli rappresentano procedure creative dove non esiste relativismo stilistico ma il timbro di un linguaggio che vola e sprofonda contemporaneamente alla ricerca dell´essenza, la Forma.



Repubblica 11.2.11

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